Pensiero animista


CARMINE TISBO
IL MANIFESTO DELL’ARTE
ANIMISTA
Carmine Tisbo
Ritratti di un’anima
L’arte e’ PENSIERO
L’arte e’ ENERGIA da condividere
La CORDA il sacrificio
il lavoro
la meditazione
la preghiera
L’arte non e’ mai fine a se stessa.
La bellezza, interiore, tramutata in opera, fa dell’arte intesa come esercizio creativo-manuale,
la metafora di una forma d’arte ben piu’ imponente: quella di dare significato alla
VITA…
IL MANIFESTO DELL’ARTE ANIMISTA
L’Arte e’ pensiero.
L’opera d’Arte e’ il percorso che fa un pensiero, un sentimento, un’emozione, quando sceglie le sembianze di cui vestirsi e attraverso le quali manifestarsi. Ammantato di parole non dette ma soltanto velatamente sussurrate, nel gioco dei sensi, il frutto della mente, del cuore, della creativita’ si stacca dalla mano, dal pennello, dallo scalpello, dagli strumenti che l’hanno forgiato, per diventare opera d’Arte, per iniziare a presentare il proprio esistere al mondo.
L’Arte e’ energia da condividere.
Dall’artista succhia tutta la linfa delle esperienze, delle malinconie, dei ricordi e delle speranze, dei sogni e degli ideali. Quelli restano sempre costanti, radici salde da non perdere mai di vista nemmeno quando il buio di una sconfitta umana, lavorativa, una delusione, una sofferenza causata dal vuoto di certezze sembrerebbero gelare ogni spinta emotiva, ogni scintilla creativa. L’opera d’Arte diviene quindi, mezzo per trasmettere, per raccontare, per rivelare, una sferzata di energia per l’artista che la crea e per colui che, ammirandola, ne legge innumerevoli significati.
L’Arte e’ pensiero da condividere e si trasforma in energia.
Quando le mani scivolano sulle superfici da lavorare, cercando corpi lisci o ruvidi, scrutando attraverso i polpastrelli delle dita tutto cio’ che racchiude e sprigiona sensazionalmente allo stesso tempo, ecco che non esiste piu’ nulla intorno. Il mondo scompare, cosi’ come i suoni, le persone, i problemi, l’ansia e le preoccupazioni. Resto io e il mio materiale, che nella pace del laboratorio trasformo l’intimita’ di un’emozione in qualcosa di concreto. In un pensiero che si manifesta e nasce e successivamente, indipendentemente da chi l’ha voluto, cercato, rispettato, chiede a chi lo vede di essere compreso.
Superfici povere, superfici vive. Legno, rame, alluminio, pietra e altro. Poverta’ e’ semplicita’, poverta’ e’ innocenza. Poverta’ e’ la condizione umana, fragile e consapevolmente effimera nell’aspetto e nella consistenza materiale ma pur sempre coraggioso nell’abbandonarsi totalmente alla ricerca introspettiva, l’unica che porti a una dolorosa ma autentica certezza dell’infnita grandezza dell’impalpabile, del non visibile, in assenza di risposte che diano consapevolezze terrene durature di lungo periodo.
Dal vuoto assoluto esco “scavando “. Un controsenso che apparentemente non trova giustificazioni. Una strada in salita pur attratta verso il basso, alla ricerca della luce pur iniziata dal buio. Dopo diverse manipolazioni, dove la superficie pittorica e’ stata tagliata, bruciata, estroflessa, ecco la scelta, la svolta: scavarla.
La superficie da lavorare e’ immobile. Attende di essere “rianimata”.
La vita da affrontare riempiendola dando un senso alla sofferenza e’ impaziente di essere colta nella propria autenticita’, “scavando” oltre le apparenze. E’ come un violentare se stessi il non accettare la realta’, e sapere che tutto il male, il rovinarsi le mani con martello e scalpello, il cercare qualcosa in piu’, un richiamo piu’ forte, senza accontentarsi della superficialita’, si trasformera’ in una nuova esistenza.
Un’esistenza scolpita, ritrovata, nata in una “forma interna alla materia”.
Questa forma, che io definisco simile a un edicola, rappresenta il il tempio interiore. Contiene due fori, il mondo umano e il mondo divino, congiunti da una corda sottile che simboleggia l’unione con l’assoluto. Una corda dorata o argentata perche’ questa unione e’ preziosa, regale, divina, ricca di risorse importante, imprescindibili per l’uomo.
Con la corda voglio rappresentare il sacrificio, il lavoro, la meditazione, la preghiera, tutto cio’ che permette il contatto, l’unione tra l’uomo e la scintilla divina presente in ogni essere umano e che da’, come frutti, la serenita’, la pace, il Regno di un Dio, qualunque esso sia, che e’ dentro di noi.
Voglio raccontare me stesso, il vissuto personale, attraverso l’opera d’arte, una ricerca interiore profonda senza presunzione alcuna nel dare soluzioni filosofiche di verita’ assolute. Il lavoro dell’artista e’ piuttosto un imput a “scavarsi dentro per cercare di avvicinarsi a un importante atteggiamento d’introspezione, dove la verita’ e’ rappresentata nel conoscersi e nel accettare a cuore aperto cio’ che l’anima e le passioni ci chiedono di fare nella nostra vita”.
L’Arte non e’ mai fine a se stessa. La bellezza interiore, tramutata in opera, fa dell’opera d’arte intesa come esercizio creativo-manuale., la metafora di una forma d’arte ben piu’ imponente: quella di dare significato alla vita.
Carmine Tisbo
Non un semplice pezzo di legno. Né una lastra di metallo qualsiasi. Di fronte agli occhi, tratti
scavati, intense morbidità, incastri di segni immortalati su materiali vivi, che raccontano la propria
origine e si prestano a delineare una storia. Osservare. Pensare. Scoprire. Ammettere una continuità,
un legame, un ricordo, una ferita. Carmine Tisbo plasma i materiali. Ne esce un’armonia tangibile,
un flusso di energia che dalle superfici lavorate si traduce in vissuto.
Il legno è la base di partenza per un racconto che va oltre uno sfregio, una corda, un colore. Oltre
ciò che lo sguardo sfiora. Poi è la sensazione che fa il resto. I solchi accolti non soltanto dal legno
ma da rame e metallo abbracciano un modo di porsi agli interlocutori. Diventano per l’interlocutore
stesso e attento, uno specchio dove ritrovare il sapore delle proprie esperienze.
Viene spontaneo allungare la mano e mettere in contatto i polpastrelli con l’opera. Perché l’opera
chiede di vivere, di respirare. E così fa. Ogni volta in cui il graffio lancia un messaggio: ferita,
scavo interiore, ricerca dell’io; ogni volta in cui la corda snoda l’immobilità mentale per
simboleggiare chiaramente un percorso, un cammino, una solida idealità apparentemente perduta,
soffocata dalla superficie, ma pur sempre ritrovata dopo l’analisi interiore affrontata, accettata,
finalmente amplificata.
Simmetrie materiche che vengono interrotte dal gioco dell’umano, rappresentato nei solchi non
innati nel materiale, bensì frutto di un cammino terreno e di una ricerca spirituale. Impulso emotivo,
scavo meccanico, guidato dall’anima fino a comporre un linguaggio diverso, accattivante,
immediatamente percepibile.
Ricordando il pensiero di Seneca, si scopre che “se guardiamo un pezzo di legno perfettamente
dirittoimmerso nell'acqua, ci sembra curvo e spezzato. Non ha importanza che cosa guardima
come guardila nostra mente si ottenebra nello scrutare la verità”. Rivolgendo lo sguardo a
un’opera di Carmine Tisbo ci imbattiamo proprio nella verità. E’ come se quel materiale, quella
creazione, quel volto impresso su legno, rame, su una superficie non più intatta ci dicesse,
ammiccante: “Riconosci te stesso in me?”. La corda, il filo sottile ma forte che lega l’uomo al
‘cielo’ attende di essere rispolverato. A volte è arrendevolmente in apnea nella fumosa assenza di
uno sguardo, accatastato sotto coltri spesse di indifferenza e fretta. Mentre l’apparenza è lieta di
lasciarsi intaccare, sfregiare, modificare, pungere di domande, alla ricerca di un perché, alla ricerca
del senso della vita.
Le opere di Carmine Tisbo sono soltanto apparentemente semplici combinazioni di stile, equilibrio,
di un accentuato gusto estetico. Propongono, in realtà, una chiave di lettura dell’io, che porta per
mano fino alla scoperta dell’essere, di quell’essere pronto a viaggiare in se stesso, a lasciarsi andare
alle proprie autentiche emozioni.
Elisabetta Zanchetta